Il Porco delle Nebbie (Dalla parte del Porco)
“Chiudi il recinto. Chiudilo bene se no scappano tutti!” Ogni volta che portavo la zotta nel recinto la nonna mi redarguiva, presagendo orribili catastrofi, sperando che non combinassi un guaio come quella volta che tutti i maialini erano fuggiti nella campagna. E il nonno aveva dovuto rincorrerli fin nel vigneto. Spesso toccava a me questa mansione, ne andavo orgoglioso, nella grande mastella d’alluminio versavo l’acqua. Poi andavo al mulino a raccogliere la miscela con il secchio, non doveva essere troppa e soprattutto andava mescolata bene perché non avesse i grumi. Il bastone per mescolare era enorme, dopo un poco le braccia erano tutte indolenzite ma non bisognava fermarsi. Una volta che era bella liscia si riempiva il secchio e lo si portava al recinto. Tutti i porci erano li, con le orecchie alzate in attesa della Zotta. Dovevo spingere forte il cancello perché pressavano contro, alcuni salivano sulla schiena di altri, le urla ed i grugniti invadevano l’aria. IO mi facevo strada tra quella folle calca cercando di raggiungere il grosso albi sul lato destro del recinto. Era difficile muoversi in quella confusione, il pesante secchio e il liquame sul fondo non mi aiutava certo ad avanzare. Ricordo che la mamma mi vestiva con gli stracci più laceri e mi metteva gli stivaloni. Quando torni a casa ti lustro per bene! Io odiavo fare il bagno con la spasetta, mi nascondevo e non volevo andarci. Ma quando mi beccava non c’erano santi “Il bagno lo devi fare “.
L’inverno era il mese più bello per me, tutta la campagna sembrava incantata. Sparita sotto la coltre di neve, i luoghi più comuni trasformati, mutati davanti ai miei occhi, sotto i grandi fazzoletti bianchi che cadevano volteggiando dal cielo. In silenzio, con il naso appiccicato al vetro ascoltavo il rumore della neve. Un rumore leggero che si espandeva nelle strette carraie, tra i bassi filari, lungo i fossi sino a gli alti pioppi che lambivano il fiume. Gli alti pioppi che dalla finestra, in lontananza apparivano come grandi cerini. Ed io fantasticavo avventure nella neve, battaglie e fortini di ghiaccio. Regine su carrozze bianche che attraversavano veloci i coltivi addormentati. Regine in cerca di prede dall’animo semplice da circuire e portare con se nel grande palazzo di ghiaccio.
Si stava in casa davanti alla finestra per ore aspettando che la mamma desse il via libera per uscire. Ci costringeva a mettere imbarazzanti calzamaglie di lana sotto i pantaloni di fustagno. Enormi calzettoni fatti a mano, che a malapena entravano negli scarponi di cuoio. Il giorno della nevicata la mamma stava ore a passare il grasso sulle cuciture per evitare che vi entrasse l’acqua, i primi erano quelli del papà che gli servivano a lavorare con gli animali. Perché nonostante la campagna fosse addormentata i porci, loro, dovevano sempre mangiare. Che vi fosse la neve o l’acquazzone la zotta doveva essere preparata. Nella porcilaia la grossa caldaia a legna era sempre accesa pronta per scaldare l’acqua ed in mezzo alla bufera, dalla mia camera vedevo il vapore fuoriuscire dal camino di fronte alla finestra.
Poi era il turno degli scarponi di mio fratello e poi i miei. Carichi di aspettative portavamo i nostri sogni sullo slittino di legno, quello del nonno fatto con le doghe di legno, e via sulla salita che conduceva al grande albero, vicino al vigneto, da li si poteva scendere a velocità vertiginosa lungo le piste che a seconda della pendenza prendevano un determinato nome. C’era l’irta che ti lanciava sino al fosso grande, la sgobba che ti fregava con le sue ondulazioni, il gran canale, la tanassa con un buco nel mezzo assolutamente da evitare. La picca era quella più spaventosa, alta e dritta sul bosco… Ricordo che rimanevo fermo sullo slittino guardandola, intimorito, finché mio fratello spazientito non mi faceva spostare. Non sono mai sceso dalla picca.
Oggi sono tornato lungo la mia infanzia, nei ricordi nebbiosi di quelle giornate, nei lievi rumori della neve, sul precipizio della picca. Nebbie che mi avvolgono fuori e dentro, che mi scricchiolano sul naso ad ogni passo nella neve. I non ricordi che si fanno strada lungo le carraie che portano al vigneto, trai pioppi che lambiscono il fiume e che in lontananza sembrano grandi cerini. In silenzio sono ancora qui, davanti al grande recinto e penso, come allora, che la mia coscienza rimanga sempre dalla parte del porco.
Soundtrack: Sea Oleena – Swimming Story
1 commento
Roberto Depratti
16 febbraio 2015 at 05:02Davvero emozionante… ben realizzato, racconta benissimo. Complimenti!!