Gaiàs
Il sogno di un luogo ideale in cui meccanicamente ogni cosa si incastra e funziona, è sempre stato una delle grandi ambizioni dell’uomo, spesso il desiderio di uno spazio utopico in cui regolamentare la vita, nasce dall’esigenza storico/sociale di riconquistare un stabilità in un periodo di difficoltà o rinnovamento. La regola per riportare alla normalità o annullare tutto quello che è stato fatto prima.
Anche Gaiàs non si allontana da questo pensiero, l’idea del franchista Manuel Farga già presidente della comunità autonoma Galiziana, era di lasciare un segno politico, una rinascita che azzerasse il passato contrapponendo l’avveniristica realizzazione al simbolo storico/religioso della regione.
Così sulla collina di Monte Gaiàs, a pochi km da Santiago di Campostela l’architetto Peter Eisenman trasferisce il suo pensiero d’intersezioni, sovrapposizioni, passaggi e alterazioni. Griglie materiche che dovrebbero contenere la memoria futura.
Una ambizione astratta che, come nella metafora di Babele, spesso si scontra con la realtà e con gli egoistici ideali che le generano.
Avvicinandosi a Gaiàs l’immagine utopista dell’architetto americano e del suo committente, si sgretola! Le costruzioni assumono un aspetto inatteso, il negativo di quello che dovrebbe essere una città viva con le quinte di pietra e vetro allontanano l’uomo. La rassicurazione e stabilità che dovrebbe avere un luogo vivibile sono annullate. Tutto sembra provvisorio, remoto e muto. Una rovina moderna in cui lo splendore si scontra con il reale bisogno di umanità.
Aggirandomi, tra le vie del più grande progetto architettonico europeo degli ultimi venti anni, tra gli spazi incontrollabili e incontrollati che l’ardita visione di Eisenman ha edonisticamente imposto a questa dolce collina, mi assale un senso di vuoto, un assordante silenzio in cui l’arte si scinde dalla vita concreta in un gioco di forza con la realtà.
Soundtrack: La domenica delle salme – Faber